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giovedì 02 maggio 2024      
 
Deformità vertebrali
 

 
  • scoliosi neuromuscolare
  • scoliosi da altre etiologie
  • scoliosi dell'adulto
 




 
 
 
 

In questo paragrafo intendiamo parlare della scoliosi vera e propria, e cioè della scoliosi cosiddetta idiopatica – questo termine in Medicina definisce “una malattia di cui non si conosce l’origine” - e questo già chiarisce alcune delle difficoltà dell’approccio a tale affezione-.

Va innanzitutto fatta una distinzione fra la scoliosi idiopatica ed i cosiddetti“atteggiamenti scoliotici” (che non assumono il carattere di malattia). Altre forme di deformità vertebrale invece, pur essendo della alterazioni strutturali del rachide, sono determinate da situazioni patologiche più o meno identificabili: intendiamo riferirci alle scoliosi congenite (da malformazione vertebrale), le scoliosi collegate a malattie genetiche abbastanza rare (neurofibromatosi, Sindrome di Marfan, miopatie, etc.), le scoliosi neurogene e neuromuscolari, determinate da complessi quadri patologici del Sistema Nervoso Centrale.

 

La scoliosi idiopatica rappresenta la situazione patologica che si incontra più di frequente nella pratica clinica, e che, nonostante l’apparente mistero della sua etiologia, obbedisce a leggi di comportamento abbastanza precise, le quali ci permettono di fare una diagnosi, di porre una prognosi ed instaurare una terapia che, se non adeguata ad ottenere una guarigione completa, ci consente di garantire ai giovani pazienti una colonna vertebrale con cui affrontare una vita normale, senza problemi funzionali, ed esteticamente accettabile.

 

Per comprendere la scoliosi idiopatica, o almeno per cercare di comprenderla, visti alcuni suoi aspetti tuttora inspiegabili, bisogna partire da alcuni  

 

CONCETTI FONDAMENTALI

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la scoliosi è una malattia;

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la scoliosi è una malattia genetica, quindi familiare;

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pur essendo una malattia genetica, e quindi congenita, la deformità della colonna vertebrale che definiamo scoliosi non è, se non in casi rarissimi, evidente alla nascita o nei primi anni di vita: la malattia consiste infatti nella tendenza della colonna vertebrale a crescere curva;

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la deformazione della colonna vertebrale che si determina durante l’accrescimento è molto più complessa di quanto appaia al radiogramma: alla curvatura laterale si associa una torsione vertebrale ed uno spostamento sul piano sagittale. In assenza di tali segni, valutabili solo clinicamente, non si può porre diagnosi di scoliosi idiopatica;

 

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c’è quindi un momento in cui si manifestano le alterazioni della statica vertebrale che caratterizzano la scoliosi: tale momento è in diretto rapporto con l’accrescimento del paziente, anche se nella maggior parte dei casi si verifica all’inizio della fase puberale, quando cioè il bambino passa dall’infanzia alla adolescenza; da ciò una prima classificazione delle scoliosi :

  • scoliosi infantili (rare)
  • scoliosi dell’adolescenza (le più frequenti)
  • scoliosi dell’adulto, o degenerative (spesso esito di scoliosi dell’adolescenza).

 

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la scoliosi è, con grande probabilità, una malattia di natura neurologica, per cui la colonna vertebrale curva è solo un sintomo della malattia, ma non la malattia in sé; 

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ogni scoliosi è provvista un proprio “quoziente di malignità”, che rende peculiare ogni caso e che rende così complicato un inquadramento della malattia. Sostanzialmente possiamo riconoscere :

  • scoliosi “benigne”, probabilmente la maggior parte delle scoliosi, che spesso passano misconosciute e che non richiedono alcun trattamento, se non, in epoca critica, di attenta osservazione, che consenta di classificarle con certezza come “benigne”;
  • scoliosi “evolutive”, che sono quelle su cui si deve intervenire per arrestarne l’evoluzione verso deformità incompatibili con una vita normale;
  • scoliosi “maligne”, spesso infantili, ad altissima evolutività (2°-3° Cobb al mese = 20° - 30° all’anno) che finiscono fatalmente sul tavolo operatorio. 

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la scoliosi può manifestarsi molto tempo prima del momento della sua reale evoluzione, con modesti segni che non è facile distinguere da alterazioni posturali: rappresentano in ogni caso un campanello di allarme che non va trascurato e che induce ad una attenta osservazione. 

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la scoliosi è quindi una malattia che ha un suo inizio, un decorso ed una fine: infatti, al termine della maturazione scheletrica, rilevabile alla radiografia con il raggiungimento del V° gradino dell’indice di Risser, ma che si può evidenziare anche dai dati clinici (arresto dello sviluppo in altezza del giovane p.; completamento della maturazione sessuale, etc.) la tendenza evolutiva della scoliosi, sia che si tratti di un forma benigna, che delle più maligne, si arresta definitivamente.

 

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Attenzione, giunti a questo momento della vita del p., la situazione è completamente diversa: il problema non è più cercare di frenare l’aggravamento della deformità vertebrale, ma la reale possibilità da parte del p. di convivere con la sua scoliosi,che è la sua scoliosi definitiva. Se la curva non ha superato un certo limite, anche per effetto del trattamento praticato, significa che il p. può conviverci con tranquillità (che non significa dimenticarsi di avere una scoliosi). Altrimenti, cioè se la curva, in seguito ad un trattamento insufficiente, o perché osservata in ritardo, ha superato tale limite, va considerato un trattamento chirurgico

 

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Non tenendo presenti questi concetti fondamentali, si va incontro a situazioni che purtroppo ancora oggi è molto comune incontrare, che inducono quanto meno a disorientamenti dei genitori, se non a gravi ripercussioni sulla salute stessa dei piccoli pazienti; per questo si può parlare di ERRORI, ma anche di ORRORI, che si incontrano purtroppo spesso nella pratica clinica.

 

ERRORI

 

-         Interpretare come scoliosi una deviazione vertebrale evidente alla radiografia, senza cercare una conferma clinica: si dimentica infatti che l’esame radiografico riproduce la situazione vertebrale in quel momento e può quindi registrare uno spostamento temporaneo e non significativo del rachide (punto 4) - ciò si verifica quasi costantemente nei bambini-;

 

-         Pensare di poter correggere una scoliosi posizionando un rialzo sotto un piede, che vi sia o meno un arto più corto del controlaterale. E’ un approccio assolutamente grossolano:

1.      Non è assolutamente ipotizzabile che la dismetria, ed il conseguente sbilanciamento del bacino, possano essere la condizione determinante la scoliosi: abbiamo visto che essa è con ogni certezza una malattia genetica, e quindi non influenzabile da fattori esterni.

2.      La variazione di lunghezza dell’arto così ottenuta va ad influenzare la posizione del bacino, ma non l’orientamento delle vertebre sovrastanti, ognuna delle quali è provvista di una autonomia cinetica rispetto al bacino ed alle vertebre adiacenti; inoltre, spesso, alla deformazione vertebrale in fase di strutturazione, si associa una rigidità dei legamenti o dei dischi intervertebrali, per cui tale intervento può avere effetti imprevedibili sulla statica vertebrale.

3.      Nella quasi totalità delle scoliosi idiopatiche si assiste alla presenza di ipometria dell’arto corrispondente alla convessità della curva lombare. Un accorto esame clinico dimostra inoltre uno squilibrio del tronco dallo stesso lato. E’ quindi ipotizzabile che l’arto omolaterale alla curva lombare, essendo stato sottoposto ad un carico maggiore rispetto al controlaterale, per la nota legge di Wolff-Delpech, abbia avuto un rallentamento del suo accrescimento, da cui la dismetria. Tale fenomeno è quindi una conseguenza, e non la causa della scoliosi. E’ evidente che l’uso di un rialzo sotto il piede non solo non serva a compensare la tale situazione, ma anzi creare un maggiore sovraccarico su tale arto.

4.      Infine, assodato che fino 2,5 cm. la dismetria è assolutamente ben compensata a livello della cerniera lombosacrale, lasciamo fare alla natura ed a quel meraviglioso meccanismo che è la costruzione della postura.

 

ORRORI

 

Sono situazioni in cui l’ignoranza da parte del curante si associa alla irresponsabilità, se non alla criminalità pura, se si ipotizza che siano subentrati nella decisione terapeutica criteri di natura commerciale-economica, dimenticando l’ormai obsoleto motto di Ippocrate : “Primum non nocere !”.

 -         Applicare un corsetto ad un bambino senza che siano ancora apparsi i segni patognomonici della scoliosi, ed in primo luogo la torsione vertebrale; magari in seguito ad una immagine radiografica non accompagnata da osservazione clinica del piccolo p.;

-         Prescrivere un corsetto ad un bambino senza che si sia dimostrata l’effettiva evolutività della scoliosi: questo significa agire senza aver fatta una adeguata programmazione del trattamento.

-         In presenza di una scoliosi già conclamata, caratterizzata da una evidente rotazione e da una curva già vicina o superiore ai 20° Cobb, affidare il piccolo p. in età evolutiva, alle cure di un fisioterapista, si tratti di ginnastica correttiva, ginnastica posturale, manipolazioni e quant’altro, mentre si tratta di una scoliosi sicuramente evolutiva, che andrebbe quindi assolutamente affrontata con un trattamento ortopedico adeguato;

-         Applicare un trattamento ortopedico rigoroso (a base di gessi correttivi e busti ortopedici da indossare a tempo pieno, spesso prolungato per anni) ad una scoliosi modesta, con scarso potere evolutivo.E’ una cattiveria vera e propria nei confronti del giovane p., che ne riporterà dei danni psicologici per tutto il resto della sua vita.

-         Intervenire con corsetti inadeguati, fantasiosi, mal fatti in p. affetti da scoliosi con importante carattere evolutivo, che, così trattati, finiranno per dover essere sottoposti ad una correzione chirurgica.

 

ETIOLOGIA E PATOGENESI DELLA SCOLIOSI

 
 
Perché la colonna vertebrale di un bambino per altri versi assolutamente sano ad un certo punto inizia a deformarsi, e tale deformità si accentua di pari passo al suo accrescimento scheletrico, fino a raggiungere gradi di deformazione addirittura incompatibili con una vita normale ? E' una domanda che è legittimo porsi ed a cui non è facile dare una risposta.

Abbiamo accennato ad una malattia genetica, e cioè di natura familiare. Questo è confermato da numero di studi basati su casistiche importanti della SRS (Scoliosis Research Society) Americana, del GES (Groupe d'Etude dela Scoliose Francese) e dal GIS (Gruppo di Studio della Scoliosi Italiano): questi studi hanno permesso di dimostrare che l'ereditarietà è certa, e può essere definita con una trasmissione di tipo dominante e di tipo multifattoriale (non legata cioè ad un solo gene). Uno dei geni coinvolti è sicuramente un gene del sesso, visto la significativa prevalenza dei sesso femminile i tutte le casistiche.

 

 

 

 

Un altro concetto ormai acquisito, è che la scoliosi idiopatica sia una malattia del Sistema Nervoso Centrale. Tale dato viene confermato dalla esperienza clinica: una scoliosi, in tutto e per tutto simile alle scoliosi idiopatiche, si manifesta con costanza in alcune forme di malattia genetica del Sistema Nervoso Centrale, ed in particolar modo alcune Malattie che interessano il cervelletto o comunque i centri che controllano l'equilibrio : parliamo della Atassia di Freiderich, della malattia di Charcot- Marie-Tooth, della malattia di Dejerine-Sottas, ed altre condizioni patologiche, di natura genetica, che colpiscono il Sistema Nervoso Centrale. E’ significato osservare che tali malattie si caratterizzano, nel complesso della sintomatologia, anche da importanti disturbi dell’equilibrio. Altre affezioni neurologiche, come la paralisi cerebrale, e le malattie del midollo spinale, quali la poliomielite e la amiotrofia spinale, possono indurre anch’esse una scoliosi, che però assume dei caratteri diversi dalla scoliosi idiopatica, e va quindi inquadrata nelle scoliosi da malattie neuromuscolare. 


A questo proposito, molto interesse hanno suscitato alcuni studi condotti da ricercatori Giapponesi(Machida, Imamura,Iwaia,Yamada,Kimura) cui ha collaborato Jean Dubousset, sul ruolo della ghiandola pineale nella patogenesi della scoliosi. Questo minuscolo organo, le cui funzioni non sono ancora completamente chiarite, è collocato sul pavimento del III° ventricolo del cervello, immediatamente al di sopra del ponte encefalico (in cui si collocano tutte le funzione “vegetative” dell’organismo) ed avanti al cervelletto (la cui funzione è quella di coordinare l’equilibrio del corpo). Una funzione sicura è la produzione di melatonina, ormone che serve a coordinare il ritmo fisiologico sonno-veglia.

Tale ghiandola ha suscitato molto interesse anche in alcune religioni orientali, secondo alcune delle quali sarebbe “il terzo occhio”, con supposte funzioni esoteriche.

Nella esperienza dei ricercatori di cui sopra, si notò (1993) che la resezione della pineale condotta sperimentalmente nei polli, determinava l’apparizione di una deformità vertebrale molto simile alla scoliosi umana. Successivamente i medesimi ricercatori praticarono la pinealectomia anche in alcuni topi, resi bipedi mediante l’amputazione degli arti anteriori. Anche in questi animali si assisteva all’apparizione di una deformazione scoliotica nel rachide. Entusiasmati da tali risultati, gli stessi ricercatori giapponesi, cui si associarono altri ricercatori coreani, canadesi etc., allargavano il campo di ricerca studiando l’escrezione della melatonina nei pazienti umani scoliotici e qualcuno cercando anche di identificare una risposta della malattia alla somministrazione della melatonina in tali pazienti. Tali ricerche non condussero a nulla di fatto. In un recente studio (2007) i ricercatori coreani concludevano : “un deficienza permanente di melatonina non è un fattore determinante nella eziologia della scoliosi degli adolescenti”. Queste conclusioni non sono del tutto definitive: ci sono altre funzioni della pineale che sono a noi sconosciute, ed in particolare la maniera in cui questa ghiandola si rapporti con altre strutture encefaliche, magari attraverso mediatori chimici. Per cui non è impossibile sperare che in un futuro non troppo lontano si potrà curare la scoliosi con delle sostanze chimiche !

 

 

SCOLIOSI E POSTURA

 

 La scoliosi è una malattia della postura ?  

Cerchiamo  innanzitutto di definire cosa si intende in fisiologia per postura.

 

La postura può essere definita come la posizione del corpo nello spazio, relativamente alla gravità cui esso è sottoposto.

La postura può essere considerata in termini di postura statica (anatomica) o dinamica (fisiologica).

La postura statica descrive la posizione del corpo nello spazio.

La posizione dinamica rappresenta i controlli e le attività neuromuscolari  che sono necessari per mantenere il baricentro della massa corporea nel suo supporto basale = equilibrio (In effetti, anche nella condizione apparente di postura statica di un soggetto che sta in piedi su due gambe, i meccanismi posturali lavorano costantemente per mantenere la stabilità).

L’equilibrio è quindi un termine che descrive il controllo da parte del Sistema Nervoso Centrale (SNC) e dei muscoli sullo stato inerziale del corpo.

 

Il complesso meccanismo del controllo posturale non è ancora del tutto chiaro: la sua comprensione è collegata a teorie neuromuscolari, principi di biomeccanica, ed alla comprensione del funzionamento del SNC stesso.

I ricercatori descrivono una area di stabilità, o cono di stabilità: tale area comprende tutti i punti dai quali il corpo può ritornare alla posizione iniziale senza fare un passo o cambiando la base di supporto. Negli esperimenti in cui la base di supporto di una persona varia rapidamente ed inaspettatamente, il SNC ed il corpo hanno un problema da risolvere: vi sono in apparenza svariate maniere in cui il corpo può risolvere tale problema, e cioè potenziali contrazioni muscolari o movimenti degli arti per mantenere l’equilibrio. IL SNC semplifica questo potenzialmente complesso problema posturale, scegliendo  fra una serie di ben combinate combinazioni prestrutturate di contrazioni muscolari: le cosiddette sinergie: la sinergia prescelta è quella che risolvere nella maniera ottimale il problema.

Le sinergie avrebbero il compito di semplificare delle situazioni nelle quali il corpo ha poco tempo (spesso nell’ordine dei millisecondi) per reagire.

Queste sinergie assumono una importanza cruciale per la comprensione di tutti gli aspetti del mantenimento della postura, e si sviluppano precocemente durante l’infanzia.

Studi Elettromiografici nei bambini mostrano uno sviluppo cefalocaudale di tali sinergie, con lo sviluppo primario del controllo muscolare della posizione del capo, seguito dal controllo del corpo e successivamente dal controllo dell’equilibrio complessivo del corpo.

La maturazione delle sinergie sembra che si ottenga attraverso la maturazione del sistema nervoso del bambino, mentre la sua forza muscolare e le dimensioni del suo corpo aumentano, ed attraverso l’esperienza motoria.

Studi Elettromiografici dimostrano che nella costruzione delle sinergie  esiste un complesso meccanismo di feedback: il corpo avverte le perturbazioni del suo equilibrio e reagisce  attraverso un feedback usando l’appropriata sinergia. Questo meccanismo di feedback delle sinergie posturali e stato definito come una “reazione posturale”.

L’input sensoriale è quindi il più importante contributo al mantenimento della postura. Gli inputs visuali, vestibolari e somatosensoriali sono tutti coinvolti.

Anche l’esperienza appare chiaramente avere un importante funzione nel controllo posturale: il miglioramento dei  meccanismi di mantenimento della postura dall’infanzia ai livelli dell’adulto, oltre ad essere dipendente dalla maturazione del SNC e lo sviluppo delle sinergie, può essere meglio spiegato dall’esperienza.

Il SNC assume un ruolo determinante nel controllo posturale, come il posto dove l’imput sensoriale viene processato, l’esperienza viene conservata, e le sinergie posturali neuromuscolari sono sviluppate ed archiviate: una continua ed importante attività di inputs ed outputs del cervelletto e dei gangli basali da e verso la corteccia cerebrale (il centro degli inputs motori e sensitivi per il corpo) assicura il corretto timing e la appropriatezza delle risposte posturali. 

 

Il modello di controllo centrale della postura, giunto alla sua completa maturazione, secondo le più recenti acquisizioni può essere così schematizzato:

  1. Il corpo umano può mantenere precisamente ed automaticamente il suo baricentro sulla sua base di supporto in una varietà di condizioni;
  2. Il centro del controllo posturale è nel SNC che riceve input sensoriali e trasmette output motori;
  3. Le sinergie posturali sono la maniera in cui il SNC, con i muscoli posturali, sviluppa soluzioni ottimali per problemi posturali potenzialmente complicati;
  4. L’input sensoriale assume un ruolo importante attraverso gli input visivi, vestibolari e somatosensoriali, sia nella scelta delle strategie posturali, che nel costruire il feedback e, quindi, l’esperienza con la quale un individuo modifica ed affina le strategie posturali;
  5. La forza muscolare e la stabilità articolare contribuiscono (nella misura in cui il corpo non presenta deficienze in tali aree) ed assumono quindi la funzione di effettori terminali degli aggiustamenti posturali.

 La maturazione di tale modello funzionale si verifica sin dalla nascita, per giungere al suo completamento al termine della maturazione scheletrica. Ulteriori e continui aggiustamenti si rendono infatti necessari per adeguare le funzioni posturali alle modificazioni del corpo che si verificano durante l’accrescimento corporeo: i periodi di maggiore attività si possono riconoscere :

-       da zero a tre anni

-       durante l’adolescenza.

 verosimilmente in rapporto con il  maggiore incremento dell'accrescimento corporeo che caratterizza questi particolari periodi.

 

Non può essere una coincidenza il fatto che la maggior parte delle scoliosi inizino la loro evoluzione in questi stessi periodi della vita di un soggetto in accrescimento: da quanto abbiamo potuto dedurre dallo studio della etiologia della scoliosi, il rapporto fra SNC e scoliosi è strettissimo, ed è legittimo dedurre che la deformità  vertebrale sia da mettere in rapporto con un disturbo patologico che vada ad ostacolare i meccanismi complessi del controllo posturale. Sicuramente a questo punto subentrano altri meccanismi biomeccanici neuro muscolari


 

STORIA NATURALE DELLA SCOLIOSI IDIOPATICA

 

Cosa si intende per storia naturale di una malattia ? In pratica, così si definisce il comportamento, o, se si vuole, l’evoluzione di una malattia  non sottoposta ad alcun trattamento.

 

Quello che colpisce lo studioso della materia, è la estrema variabilità di tali comportamenti: ci sono casi in cui la deformità vertebrale raggiunge un certo livello di curvatura, e si arresta spontaneamente, e dei casi in cui si assiste ad un aggravamento rapidissimo, talvolta tumultuoso, ribelle alle terapie praticate, fino a raggiungere livelli altissimi di deformità, in alcuni casi incompatibili con la sopravvivenza stessa del paziente.

 

Da quanto abbiamo visto circa la eziopatogenesi della scoliosi, è chiaro che il carattere stesso del comportamento della malattia è predeterminato geneticamente: trattandosi con tutta probabilità di un “errore” nella programmazione della postura, l’importanza di tale errore determina il carattere più o meno grave della evoluzione della deformità. E’ come se un programmatore di software avesse introdotto un errore nel programma: se l’errore è trascurabile, il programma procederà più o meno bene, se l’errore è grave, andrà incontro ad un crash più o meno clamoroso.

 

Il problema è che, naturalmente, al clinico manca qualsiasi possibilità di prognosi, di fronte ad un inizio di scoliosi in un bambino molto immaturo, e nella maggior parte dei casi ci si deve affidare ad una osservazione periodica molto attenta, che ci consenta di percepire i primi segni di una evoluzione, e che quindi ci aiuti a comprendere le caratteristiche di “malignità” più o meno alta della malattia.

In questi casi, non ci si deve far prendere dal panico, e prescrivere un corsetto al primo insorgere di una curva, anche se associata ad una torsione vertebrale, segno indiscutibile che si trova di fronte ad una scoliosi “vera” e cioè strutturale, e quindi idiopatica. Ricordiamoci che esistono anche scoliosi benigne, e che l’adozione di un corsetto ci maschererà l’andamento reale della scoliosi. Rischiamo quindi di far indossare un corsetto inutile ad un bambino affetto da una scoliosi benigna, e, per di più, non avendo chiaro il carattere più o meno evolutivo della malattia, non saremo in grado di programmare un adatto trattamento. In pratica, può succedere che decideremo di interromper il trattamento magari nel momento più delicato. Quindi il ruolo fondamentale della osservazione. Naturalmente sappiamo già che esistono delle caratteristiche precise che ci consentono di porre una prognosi corretta ed iniziare precocemente un trattamento: in tali casi la precocità dell’intervento serve ad interrompere una evoluzione che potrebbe avere effetti disastrosi. Da ciò l’importanza della comprensione di alcuni principi che sono stati chiariti e che sono tuttora validi, principi che traggono la loro validità da alcuni studi che sono stati condotti sulla storia naturale della scoliosi. La ricercatrice a cui dobbiamo molte delle nostre attuali conoscenze è la dott.ssa Duval Beaupère.

 

Questa ha sviluppato i suoi studi sulla relazione dell’aggravamento delle curve con l’accrescimento e la maturazione scheletrica: le è stato così possibile tracciare un grafico del comportamento caratteristico di una scoliosi. Su tale grafico ponendo sull’asse delle ascisse l’età scheletrica del paziente, e sull’asse delle ordinate i gradi della scoliosi, ha riconosciuto due momenti fondamentali: l’inizio della poussée puberale (pubarca), ed il termine della maturazione scheletrica. Si definiscono così due periodi:

 
 
 
un periodo prepuberale, in cui l’evoluzione è piuttosto lenta;
 
 
 
 
 
un periodo puberale, in cui l’aggravamento è piuttosto rapido (d 2 fino ad 8 volte più rapido) con l’arresto della evoluzione coincidente con la fine della maturazione scheletrica individuata con il test di Risser.

 

 

 

 

 

 

 

 

Stagnara, il Maestro Lionese, ha schematizzato la progressione secondo tre tipi di curve:

 

una scoliosi infantile toracica, la più severa
 
una scoliosi giovanile toracica, la più classica
 
una scoliosi dell’adolescenza, lombare, la più benigna
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Lo stesso Stagnara ha realizzato uno schema a griglia, secondo il quale le varie possibilità di evoluzione vengono classificate secondo l’età ed il grado di deformità raggiunto.

Secondo tale schema, le scoliosi fino a 30° si mostrano evolutive solo se osservate prima della pubertà, mentre al di sopra di tale limite l’evoluzione è certa, anche se rallenta con il raggiungimento della maturazione scheletrica. Le scoliosi oltre i 50° hanno una evoluzione severa, e possono peggiorare anche da adulto.

 

 

 

 

 

Bisogna naturalmente sottolineare come tali schematizzazioni siano sempre da considerarsi del tutto orientative, in quanto, come ci preme evidenziare ancora una volta, ogni paziente rappresenta un caso a sé.

 

Quindi, al momento di porre una prognosi, e quindi la necessità o meno di iniziare un trattamento, nulla può sostituire l’esperienza e quella sorta di intuizione che si acquisisce solo con una lunga consuetudine professionale con questa patologia.   

 

TRATTAMENTO

 

Sulla base della griglia precedente, riguardante la schematizzazione della prognosi, basata sulla età e del grado di deformità raggiunto, Stagnara ha in seguito proposto una analoga griglia, suggerendo l’indicazione al trattamento nelle diverse situazioni descritte dalla griglia prognostica.

 

Anche tale inquadramento è indicativo, forse ancora in maggior misura, pur conservando una sua validità. Va soprattutto apprezzato perché la sua concezione risale agli anni ’60 del secolo scorso, quando le cognizioni erano vaghe e contraddittorie, ogni scuola aveva i suoi orientamenti, e soprattutto nessuno si era preso la briga di fare degli studi seri su vaste casistiche. Nasceva così l’esperienza del Centro Massues di Lione, dove dominava il Maestro.

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Pierre Stagnara era un’uomo di una intelligenza particolare, analitica, rigorosa, che non accettava compromessi. Si trovò a dirigere il Centro de Réadptation Fonctionelle des Massues, che era un Centro di Riabilitazione fondato dalla Comunité Agricole, che in Francia era molto potente, rinunciando ad una carriera di chirurgo , che aveva iniziato in ambiente universitario. Entrato in collisione con il mondo accademico, per il suo carattere fiero, da uomo di Corsica qual era, si ritirò in quello che doveva rappresentare la sua fine di chirurgo. Invece lavorò, e convinse i responsabili della Comunità Agricola a  trasformare il Centro in un vero Ospedale, con camere operatorie, stanze di degenza ed ambienti di riabilitazione. Lavorò con una staff di fisioterapisti, entusiasti, ed accolse centinaia e centinaia di medici specializzandi, e dimostrò che  era possibile creare dal nulla il Centro più prestigioso del mondo per la chirurgia vertebrale. 

Pose le basi del trattamento delle scoliosi, e mise a punto il protocollo di trattamento che doveva essere il punto di riferimento per chiunque si volesse confrontare con tale patologia difficile e sconosciuta: il Trattamento Ortopedico Lionese.

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Basato sulla correzione con gesso EDF (Elongation,Detotation,Flexion) che si confezionava, dopo manovre correttive, sul lettino di Cotrel.

 

 

Venivano confezionati tre gessi successivamente, ogni 45 giorni, che venivano quindi sostituiti da un corsetto ortopedico denominato appunto corsetto Lionese, amovibile per le necessità igieniche del paziente, ma da indossare a tempo pieno fino al raggiungimento della completa maturazione scheletrica (Risser = 5)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Nella griglia delle indicazioni al trattamento si può osservare come questa procedura venga consigliata allorché la scoliosi superi i 30°, mentre oltre i 50° di curvatura il trattamento è rigorosamente chirurgico; nei soggetti in fase prepuberale è previsto, in alcuni casi, un trattamento con mezzi ortopedici, onde procrastinare l’intervento al raggiungimento di un’età più adatta.

 

 

 

 

 

 

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Lo schema di Stagnara, come tutte le schematizzazioni, non può essere interpretato in una maniera molto  rigida. Anzi, nel corso degli anni, in base alla esperienza personale, tale schema è stato modificato e soprattutto adattato alla situazione particolare del paziente : non esistono due pazienti eguali, non esistono due scoliosi eguali.

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Le modifiche, come sono illustrate nello schema riportato qua sotto, non sembrano così importanti, ma in realtà la prospettiva delle indicazioni a trattamento ha subito un cambiamento sostanziale, soprattutto in considerazione della necessità di consentire al giovane paziente una vita quanto più possibile “normale” , evitandogli, nei limiti del possibile, eccessivi sacrifici, i quali, a questa età, incidono profondamente anche sulla formazione stessa della psiche del bambino o dell’adolescente.

 

 

 Rispetto allo schema di Stagnara, che consigliava l’inizio del trattamento allorché la scoliosi aveva raggiunto i 30° Cobb, ed a questo punto metteva in atto il protocollo che abbiamo già ricordato : tre gessi consecutivi per complessivi quattro mesi e mezzo, seguiti dall’uso di un corsetto Lionese a tempo pieno, il nostro orientamento attuale è il seguente:

  • - Iniziare l’uso del cosetto molto prima, quando la scoliosi ha raggiunto i venti gradi, ed anche prima, se c’è la dimostrazione di una reale evoluzione della curva; in questo caso però il corsetto va indossato a tempo parziale, ed in genere è sufficiente che il corsetto venga mantenuto per 12 ore al giorno. In genere sono le ore notturne, integrate da qualche ora pomeridiana, affidando spesso la gestione delle ore di corsetto allo stesso paziente, che si sente così responsabilizzato. Il vantaggio è che il trattamento ne risulta assolutamente più tollerabile e compatibile con una vita “normale”.
  • - Allorché la scoliosi ha raggiunto e superato i 30° Cobb, va iniziato un trattamento a tempo pieno, perché l’evoluzione oltre tale limite di deformità diventa molto più difficile da controllare. Abbiamo però osservato che non è sempre necessario ricorrere a dei gessi di correzione: spesso un buon corsetto, preparato su di un moulage ben modellato, può essere sufficiente a controllare l’evoluzione e modellare il gibbo costale. Per le curve più rigide, molto strutturate e molto ruotate, può essere necessario un corsetto EDF di correzione; mai più di uno, visto che la correzione ottenibile con un solo gesso è più che sufficiente per passare alla contenzione con corsetto ortopedico.
  • - Per le scoliosi che abbiano raggiunto e superato i 40° l’argomento si fa molto serio: abbiamo due possibilità da valutare con attenzione: 

    1. Impostare un trattamento molto impegnativo, con gessi correttivi e corsetto indossato a tempo pieno per parecchi anni: al termine del trattamento avremo ottenuto, nella migliore delle ipotesi, un arresto della evoluzione della deformità, ma la curva residua sarà sempre importante: Lo stesso discorso vale per l’aspetto estetico della colonna, in quanto il gibbo toracico e l’asimmetria del tronco sarà sempre evidente.

    2. Ricorrere ad un trattamento chirurgico, il quale ci consente :

    a.  Di abbreviare in modo drastico i tempi di trattamento: infatti, dopo l’intervento, non è previsto alcun mezzo di contenzione (busto o altro). Alla guarigione della ferita chirurgica il paziente può riprendere una vita normale, astenendosi soltanto, per i primi cinque mesi (cioè fino al completamento della fusione vertebrale) da sforzi eccessivi.

    b. Di ottenere una correzione importante, talvolta completa, della deformità vertebrale.

     

    Perché quindi, in questi casi, non ricorrere sistematicamente ad un trattamento chirurgico ? E’ una domanda legittima, a cui non può rispondere il chirurgo, il quale ha per impostazione professionale una analisi assolutamente asettica della questione; mentre spesso i genitori non accettano l’idea di un intervento chirurgico e sono sconvolti da questa prospettiva; né il chirurgo può forzare questa loro scelta, anche se intimamente convinto che sarebbe la migliore soluzione per il giovane paziente.

    Non bisogna infatti dimenticare che un atto chirurgico, per quanto condotto nelle migliori condizioni, nelle mani più capaci, non è scevro da possibili complicazioni. Dalle più banali alle più gravi.

    E quindi la funzione del chirurgo è quella di consigliare, illuminare i genitori sugli aspetti positivi e negativi delle loro scelte, dei costi e benefici di queste, ma non può sostituirsi ai genitori nelle decisioni definitiva.

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    Queste valutazioni valgono per una fascia di scoliosi che vanno dai 40° a 50° Cobb. Al di sopra di tale entità di curvatura, il trattamento chirurgico è d’obbligo. 

 

 

TRATTAMENTO CHIRURGICO

 

 

I principi del trattamento chirurgico della scoliosi rappresentano, paradossalmente, anche un nostro sostanziale insuccesso: per ottenere infatti una correzione stabile e permanente della colonna vertebrale deformata dalla scoliosi dobbiamo rinunciare ad una delle sue funzioni fondamentali: la mobilità.

Correggere la curva, ripristinare i corretti rapporti anatomici fra le strutture del tronco, che non sono solo la colonna vertebrale, ma la cassa toracica, e gli organi interni, e garantire a questa correzione una sua stabilità negli anni, evitando una degradazione del risultato ottenuto sul tavolo operatorio, è possibile solo realizzando ciò che in termine chirurgico si chiama “artrodesi vertebrale” .

 

 

 

Il termine “artrodesi” in chirurgia significa ottenere una fusione delle strutture ossee di una articolazione fra di loro. In pratica, si cerca di ottenere che le due ossa si uniscano insieme e formino un osso solo, rinunciando alla possibilità di movimento che l’articolazione in condizioni fisiologiche avrebbe consentito. Questa procedura, a livello vertebrale, è resa molto complessa per la complessità delle strutture interessate (le vertebre fra di loro), ma nella sua corretta realizzazione risiede la possibilità di un risultato definitivo dall’atto chirurgico.

 

 

 

 

 

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Questo principio, tuttora valido, e purtroppo, ineludibile, venne proposto da un chirurgo americano, Albee, agli inizi del secolo scorso, se pur con indicazione diverse (Tubercolosi vertebrale). Venne in seguito ripreso da un chirurgo texano, Risser, il quale negli anni ’50 propose un protocollo di trattamento chirurgico della deformità vertebrali basato su due principi:

·      Correzione mediante manovre realizzate su di un lettino apposito (letto di Risser), e mantenimento di tale correzione mediante un busto di gesso;

·      Realizzazione della artrodesi sulla colonna vertebrale mediante manovre chirurgiche agendo sulla colonna attraverso una finestra realizzata nel gesso di correzione.

La fusione vertebrale ottenuta in questa maniera richiedeva un tempo di immobilizzazione con il corsetto gessato non inferiore ai 10-12 mesi.

Si trattava, evidentemente, di una procedura oltremodo impegnativa e devastante, almeno dal punto di vista delle sofferenze che venivano richieste al paziente.

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Tali principi di trattamento divennero lo standard per i Centri in cui si affrontava tale
chirurgia (non molti, visto l’estremo impegno assistenziale che richiedevano queste procedure), fino agli anni ’60. IL passo successivo fu legato al nome di Paul Harrington. Questi era un chirurgo texano che svolgeva la sua opera in un Centro specializzato per il recupero dei pazienti affetti da esiti di poliomielite (all’epoca, pre-vaccino, una vera calamità  per la sua diffusione e la gravità degli esiti invalidanti). Harrington ebbe l’idea di stabilizzare le curve vertebrali di tali pazienti affetti da scoliosi paralitiche, mediante l’uso di un dispositivo che veniva posizionato nella concavità della curva ed applicato mediante ganci che facevano presa sulle vertebre alle due estremità della curva, e determinava una distrazione fra di esse, realizzando così una correzione, spesso ingente, delle curve. Venne quindi prodotto uno strumentario ad hoc, che comprendeva:

-       una serie di uncini da inserire sulle vertebre;

-       delle barre di varia lunghezza, provviste di una parte liscia ed una parte scanalata, scorrendo su cui gli uncini determinavano la distrazione;

-       un analogo  dispositivo che realizzava una compressione sulla parte convessa della curva;

-       strumenti ancillari per il posizionamento di questo presidio.

L’associazione della artrodesi alla strumentazione di Harrington divenne quindi lo standard per il trattamento chirurgico delle scoliosi, e venne adottato universalmente nei Centri che si occupavano di tale chirurgia, compreso il Centro dei Massues dove agiva Pierre Stagnara.

La fragilità intrinseca del montaggio, se pur associata alla fusione vertebrale, richiedeva comunque un lungo periodo di immobilizzazione in gesso, fino alla maturazione della artrodesi, che non si poteva considerare completa prima dei sei – otto mesi.
Altri svantaggi della tecnica di Harrington riguardavano la impossibilità di realizzare un corretto allineamento della colonna sul piano sagittale. In pratica, con il posizionamento della barra, non era possibile attribuire alla colonna la giusta cifosi fisiologica o, nel tratto lombare, la corretta lordosi fisiologica.

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In realtà la metodica di Harrington, pur se aveva aperto la strada al concetto della strumentazione vertebrale, era una metodica molto rudimentale, e soprattutto non fisiologica.

Se ne accorsero ben presto alcuni chirurghi entusiasti, i quali, nel realizzare correzioni spettacolari mediante la distrazione sul lato concavo della curva, ebbero a constatare un’alta ed inaccettabile percentuale di complicazioni neurologiche.

Si verificava infatti che la distrazione, agendo brutalmente sulla curva, determinava uno stiramento dei vasi sanguigni che provvedevano alla vascolarizzazione del midollo spinale, con necrosi del medesimo, e conseguente paraplegia. I pazienti quindi, avevano la schiena dritta, ma si trovavano completamente paralizzati.

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Le successive ricerche erano quindi indirizzate alla ricerca di una strumentazione vertebrale che consentisse buone correzioni, e fosse contemporaneamente molto stabile, tanto da evitare perdite di correzione e garantire tempi di trattamento più brevi.  

Dal 1962 ad oggi, vi è stata una continua ricerca per il perfezionamento della strumentazione vertebrale, da parte dei chirurghi dei Centri più qualificati del mondo per il trattamento della scoliosi.  

Sono i Centri che il dott. Catani ha visitato e dove ha fatto degli stages di studio, per acquisire le tecniche di correzione colà adottate ( vedi formazione professionale nella Home page). 

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In particolare, ha collaborato al perfezionamento degli strumentari proposti da Cotrel e Dubousset, basati su un sistema molto complesso che aveva la funzione di distribuire le forze di correzione su più vertebre, ripristinando inoltre le curve fisiologiche sagittali.

Mentre le forze di correzione sono distribuite su più uncini, posizionati in maniera strategica, si può attribuire alle vertebre, attraverso questi, forze rispettivamente di distrazione, compressione e, soprattutto, di derotazione. Il sistema consente delle correzioni ingenti ma soprattutto ripristinando una anatomia fisiologica.

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Un decisivo miglioramento delle tecniche venne ottenuto con l’uso di viti peduncolari, che progressivamente soppiantarono l’uso dei ganci di presa sulle vertebre. Le viti peduncolari, proposte da Roy Camille negli anni ’70, penetrano nelle vertebre attraverso le strutture che collegano il corpo vertebrale con l’arco posteriore. Passano quindi lateralmente al canale che contiene il midollo spinale, e questo spiega la delicatezza e la difficoltà di tale tecnica. Che è però irrinunciabile, in quanto offre delle caratteristiche di stabilità eccezionali, tanto da consentire di lasciare il paziente assolutamente libero nel postoperatorio, evitando quindi l’uso di gesso o corsetti contenutivi. Il dott. Catani è stato il primo chirurgo ad introdurre in Italia tale metodica.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Lo stato dell’arte è oggi rappresentato dal sistema Moss-Miami, basato su barre longitudinali e viti peduncolari, il cui disegno è stato ulteriormente perfezionato, e reso ingegneristicamente molto complesso. Si tratta di viti “poliassiali”, provviste di una testa snodabile, per adattarsi alle varie situazioni vertebrali, ma che può essere bloccata definitivamente una volta ottenuta la correzione.

La stabilità della correzione ottenuta mediante l'uso delle viti peduncolari, oltre ad ottenere delle correzioni fisiologiche, cioè sui tre piani dello spazio, correggendo la rotazione e ripristinando anche le curve sagittali, consente al p. di riprendere immediatamente la posizione eretta e di evitare l'uso di qualsiasi tutela (gesso, corsetti etc.). E' la norma che un adolescente riprenda la scuola dopo due settimane dall'intervento.

Una corretta programmazione dell'intervento permette di correggere anche le curve secondarie, lasciando libero il tratto lombare e conservando quindi una mobilità del tutto normale alla colonna vertebrale.

 

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La correzione chirurgica ottenibile con le tecniche attuali è limitata solo dalla possibilità di riallineamento delle vertebre, che purtroppo riconoscono nel corso degli anni un adattamento strutturale alla curva, per cui è normale una correzione del  80 % in pazienti adolescenti, mentre negli adulti è difficilmente realizzabile una correzione superiore al 50 % della curva.

Un altro limite alla correggibilità della curva è determinato dal rischio di lesioni al midollo spinale: negli adulti con scoliosi molto gravi e rigide, anche i vasi sanguigni si sono adattati alla posizione della colonna vertebrale, ed una correzione eccessiva può determinare un deficit della vascolarizzazione del midollo spinale, con conseguenze catastrofiche sulla funzionalità midollare.   

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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