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venerdì 03 maggio 2024      
 
Trattamento chirurgico della scoliosi idiopatica per via anteriore
 
 IL TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLA SCOLIOSI IDIOPATICA PER VIA ANTERIORE

 

 

CENNI STORICI

INDICAZIONI

VIA DI ACCESSO

TECNICA CHIRURGICA

1. PROGRAMMAZIONE DELL’INTERVENTO

2. VDS

3. MOSS MIAMI

COMPLICANZE

RISULTATI

CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA

 
 
CENNI STORICI
 
L’accesso anteriore alla colonna vertebrale toracolombare mediante toracofrenolombotomia venne
preconizzato nel 1956 da Hogdson , chirurgo di Hong Kong, il quale la utilizzò estesamente per il
trattamento chirurgico della Tbc vertebrale ( Hogdson si ispirò alla via proposta da Fey per
l’accesso al rene ed alla ghiandola surrenale: tale via prevedeva l’incisione del XI° spazio
intercostale).
Nel 1969 Dwyer, chirurgo ortopedico australiano, intuì le nuove possibilità offerte da tale tipo di
accesso, mettendo a punto un nuovo sistema di correzione delle scoliosi, che agisse sulla colonna
anteriore, cioè sulla parte discosomatica. In quello stesso periodo la maggior parte dei chirurghi
vertebrali, già avvezzi al trattamento chirurgico delle scoliosi sec. Hibbs e Risser, basato sulla
artrodesi posteriore, si stavano avvicinando alle prime strumentazioni vertebrali utilizzando il
sistema di Harrington. Gli sperimentati principi di questa tecnica erano i seguenti :
1. Strumentazione sul lato della concavità ;
2. Correzione mediante distrazione sulla concavità;
3. Artrodesi posteriore.
I principi dell’intervento di Dwyer si rivelarono diametralmente opposti:
1. Strumentazione sul lato convesso della curva;
2. Correzione mediante compressione sulla convessità;
3. Artrodesi anteriore intersomatica.
 

   Fig. 1: I principi dell’operazione di Dwyer

 
Dwyer realizzò uno strumentario che si basava sull’uso di viti infisse trasversalmente al corpo
vertebrale (prima utilizzazione di viti al titanio in chirurgia vertebrale), sulla testa delle quali
realizzare la compressione mediante un cavo di acciaio al titanio trecciato messo in tensione, e
quindi bloccato stringendovi su le teste delle viti. L’artrodesi era realizzata mediante discectomia
subtotale ed innesti autoplastici inseriti nello spazio intersomatico. L’intervento venne ripreso da
altri AA (Hall , Onimus, etc.) i quali ne sottolinearono le principali indicazioni: scoliosi
neuropatiche con o senza bacino obliquo, scoliosi idiopatiche dell’adulto, situate nel tratto
toracolombare o lombare
 
 

    

 

 

 

    Fig. 2  : Schema dell’operazione di Dwyer



 
 
 
 
Klaus Zielke, nel 1975 riprese i principi dell’intervento di Dwyer apportando alcune sostanziali
modifiche:
 
 
 
 
  
 
 
 
 
  Fig. 3 : il materiale di Zielke
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
1. Le viti trasversali al corpo vertebrale prevedevano un alloggiamento per una barra filettata
di non grande sezione (3 mm): la compressione sulla convessità della curva veniva
determinata mediante l’avvitamento di dadi avvitati sulla medesima barra;
2. All’azione correttiva della compressione venne associata una vera e propria derotazione
mediante uno strumento disegnato dallo stesso Zielke, che rendeva la correzione
estremamente efficace. Zielke denominò tale tipo di intervento “VDS” : Ventrale Derotation
Spondilodese.
 
 
 
In seguito, diversi AA. proposero nuovi strumentari diretti a migliorare le caratteristiche
dell’intervento di correzione delle scoliosi per via anteriore. Fra questi citiamo Harms e
Shufflebarger il cui strumentario (Moss-Miami) è probabilmente, allo stato, il più diffuso. Rispetto
allo strumentario di Zielke, prevede l’uso di una barra di maggiore diametro (6,5 mm), e quindi più
solida. La compressione è realizzata applicando una pinza distrattrice fra la testa della vite ed una
pinza autobloccante fissata sulla barra.
 
 
Nonostante le modifiche successive proposte dagli AA utilizzatori della metodica, i principi
dell’intervento rimangono, a tutt’oggi, quelli proposti da Dwyer nel 1969, a dimostrazione della
validità delle intuizioni di questo illustre chirurgo.
 
INDICAZIONI
 
Le metodiche che prevedono un accesso anteriore non vogliono e non possono sostituire il classico
accesso posteriore e le tecniche di correzione che prevedono tale approccio. In effetti, la
toracofrenolombotomia consente di aggredire adeguatamente solo un versante del rachide, da cui
una prima limitazione: l’indicazione principale riguarda infatti scoliosi a curva unica primitiva,
associate o meno a curve secondarie ben correggibili al bending-test, che quindi prevedano una
buona correzione spontanea, dopo la correzione della curva primaria.
Una ulteriore limitazione delle indicazioni, scaturisce dalla necessità di esercitare le forze di
correzione sulla testa delle viti applicate trasversalmente al corpo vertebrale: il corpo vertebrale su
cui inserire la vite deve essere solido, e consentire una efficace presa bicorticale. L’utilizzazione
quindi della metodica nel tratto toracico, ove incontriamo corpi vertebrali più esigui e meno
resistenti alle intense forze necessarie alla correzione, ne risulta così sconsigliabile. Altrettanto
sconsigliabile l’intervento nei pazienti affetti da una qualche forma di osteodistrofia.
La necessità di cruentare adeguatamente i piatti epifisari dei corpi vertebrali, per favorire la fusione
intersomatica, esclude dalla metodica i pazienti più giovani, nei quali questa manovra chirurgica
determinerebbe una lesione della cartilagini di accrescimento iuxta-epifisarie. Il conseguente arresto
di accrescimento osseo limitato alla parte somatica delle vertebre, condurrebbe ad una cifosi nella
successiva fase di maturazione scheletrica del giovane paziente.
Per quanto riguarda l’etiologia, molti AA. limitano le indicazioni alle scoliosi neuropatiche,
associate o meno a bacino obliquo; nella esperienza di Zielke, come anche nella nostra personale, le
scoliosi idiopatiche, se ben selezionate secondo i principi suesposti, hanno mostrato dei risultati
molto soddisfacenti.
Le indicazioni principali all’intervento per le scoliosi idiopatiche, possono quindi essere così
schematizzate:
1. Scoliosi dell’adulto o del grande adolescente;
2. Scoliosi mobilizzabili per via anteriore, in cui cioè non esistano note di rigidità attribuibili
alla strutturazione irriducibile degli elementi posteriori delle vertebre;
3. Scoliosi a curva unica, le cui curve adiacenti si mostrino ben correggibili al bending-test;
4. Scoliosi situate nel tratto di passaggio toraco-lombare o lombari.
Nell’ambito molto selettivo di tali indicazioni, i risultati ed i vantaggi dell’accesso anteriore sono
estremamente incoraggianti.
 
VIA DI ACCESSO
 
La toracofrenolombotomia prevede l’apertura delle due grandi cavità splancniche, il torace e
l’addome, e la disinserzione circonferenziale del diaframma.
 
Posizione del paziente
 
 
 
 
 
 
 
Fig. 4 : Posizione del paziente ed incisione cutanea
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il paziente viene posto in posizione laterale, con il lato corrispondente alla convessità della curva
verso l’alto; l’arto superiore omolaterale sollevato e fissato con fasciatura morbida ad un archetto;
le anche e le ginocchia flesse a 90°. Può essere di aiuto la possibilità di spezzare il tavolo
operatorio, seguendo la curva scoliotica, per raddrizzarlo durante la fase della riduzione.
 
 
La sede del tratto vertebrale da artrodesizzare determina la scelta del livello attraverso cui accedere
al torace: in genere, si sceglie la costa corrispondente alla vertebra più craniale da strumentare.
Nella maggior parte delle situazioni si preferisce l’accesso attraverso la resezione della X° costa, o
attraverso lo spazio intercostale fra la IX° e la X° costa, che consente di dominare il rachide da D10
a S1. L’incisione cutanea segue quindi la direzione della 10° costa, fino alla sua inserzione
condrosternale, per deviare caudalmente lungo il margine laterale dei retti addominali, fino
raggiungere il punto di Mc Burney, a metà circa fra la spina iliaca e l’ombelico.
                                                                      
                                                                                                  Dissezione parietale
 
Inciso il sottocute, e giunti sul piano muscolare, si reperta e si scolla il margine anteriore del grande
dorsale, che viene caricato posteriormente fino al livello della articolazione costotrasversaria. Si
incide quindi, seguendo la direzione delle fibre, il muscolo obliquo esterno, scoprendo il piano
costale. La X° costa viene deperiostata, fino alla articolazione costotrasversaria: l’estensione
posteriore fino tale livello consentirà un più agevole accesso al campo operatorio.
A questo punto l’accesso prevede varie possibilità:
1. resezione della costa: offre il vantaggio di consentire una migliore luce sul campo operatorio
e rende possibile l’utilizzazione del materiale osseo costale per l’artrodesi (va osservato
come si tratti di osso prevalentemente corticale e non ideale quindi come apporto
osteogenico); lo svantaggio di questo atto chirurgico è che la resezione della costa spesso
risulta piuttosto evidente e quindi negativa sul piano estetico;
2. Incisione della costa, nella sua estremità iuxtatrasversaria, onde ottenerne una buona
mobilizzazione, e quindi una buona visualizzazione del campo operatorio, senza sacrificarne
l’esistenza;
3. Incidere lo spazio intercostale, in corrispondenza del margine superiore della costa più
craniale, rispettando quindi il fascio vasculonervoso intercostale; è la via più anatomica,
anche se limita l’accesso alla parte più caudale della colonna lombosacrale.
Si procede così alla apertura del torace, che comporta un collasso parziale del polmone omolaterale,
che consente una visualizzazione molto buona del cavo pleurico e, al di sotto della pleura parietale,
l’aspetto laterale della colonna toracica.
In ogni caso, va isolata anteriormente la cartilagine condro-costale, che rappresenta un punto
strategico di grande importanza: da qui inizia la incisione della parete muscolare addominale.
 
 
 
 
 
 
 
        
 
 
 
 
   Fig. 5 : Apertura del torace 
 
 
                                                                      
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                        
 
 
 
 
 
 
 
 
Apertura dell’addome
 
L’incisione dell’obliquo interno e del traverso dell’addome, va condotta con estrema cautela, per
rispettare l’integrità della sierosa peritoneale. Repertato il peritoneo, si procede al suo scollamento,
per via smussa, onde evitare una sua lacerazione, che non è infrequente: è raccomandato di
procedere, in tale caso, ad una immediata accurata chiusura dello stesso.
Lo scollamento del peritoneo interessa dapprima lo spazio subfrenico, nella sua porzione
iuxtacostale: allargare lo scollamento verso il centro del diaframma è non solo critico, poiché qui il
peritoneo contrae rapporti quasi di continuità con la fascia del diaframma, ma anche inutile, in
quanto è sufficiente scollare per quanto necessario alla incisione periferica del diaframma. Lo
scollamento del peritoneo prosegue posteriormente e caudalmente liberando lo spazio
retroperitoneale, e si rivela abbastanza agevole: si reperta quindi il muscolo psoas-iliaco, che copre
l’aspetto laterale della colonna lombare. I visceri vengono traslati anteriormente, e protetti: è bene, a
questo punto, repertare e proteggere l’uretere.
         
      
 
 
    
 
 
 
    Fig. 6 : Disinserzione del diaframma                                        
 
 
                                                            
 
 
 
                                                                                                
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 
 Disinserzione del diaframma
 
Tale atto si rende necessario per liberare completamente la colonna vertebrale, e scoprire i grandi
vasi che decorrono sul suo versante anteriore. L’incisione del diaframma si inizia in corrispondenza
della sua inserzione sulla cartilagine condrocostale, e viene condotta in direzione circonferenziale,
seguendo le sue inserzioni sulla parete costale; è raccomandato di condurre tale incisone lasciando
un collaretto sulla inserzione periferica di almeno 2-3 cm, onde consentire una buona ricostruzione
del diaframma, mentre è da evitare di condurre l’incisione più centralmente, dove potrebbe
determinare lesioni alla innervazione del muscolo. E’ altresì raccomandato di posizionare
sistematicamente dei punti di repere ogni 3-4 cm di incisione, onde poter ricostruire correttamente
la sua morfologia. L’incisione raggiunge quindi il piano vertebrale, ove interessa lo iato aortico.
Questo va aperto sulla protezione di una pinza passafili che vi è stata introdotta cautamente, onde
proteggere le strutture vascolari. Il diaframma può essere a questo punto spostato medialmente,
offrendo una completa visione della cavità toracica, non più separata dalla cavità retroperitoneale.
Un passo successivo è lo scollamento della pleura parietale dal versante laterale della colonna
vertebrale: tale scollamento viene prolungato verso l’alto fino al livello della vertebra più craniale
da strumentare,e posteriormente fino alle apofisi traverse.
  
 
  
 
 
 
    
 
 
 
  Fig. 7 :  Legatura vasi segmentari  
                                                       
                                                            
                  
 
 
                                                                              
 
 
 
 
 
Liberazione della colonna vertebrale
 
A questo punto si può dominare l’aspetto laterale di tutto il tratto di rachide che ci interessa: sulla
sua faccia anteriore scorrono i grandi vasi, l’aorta e la cava, che gettano un ramo laterale a livello di
ogni segmento vertebrale, formando un fascio vascolare che raggiunge il forame di coniugazione
omolaterale.
Tali rami decorrono trasversalmente al corpo vertebrale: il loro accurato isolamento, e la loro
divisione, previa una sicura legatura, rappresentano il momento più delicato dell’accesso al rachide.
Il sacrificio di detti vasi è naturalmente indispensabile, per due ragioni:
1. Essi decorrono proprio in corrispondenza del corpo vertebrale, ove sarà infissa la vite
trasversale a questo: procedere alla strumentazione della vertebra senza aver prima isolato e
legato questi vasi può determinare fatti emorragici difficilmente dominabili, e spesso
catastrofici;
2. La separazione dei vasi segmentari è necessaria per procedere ad una mobilizzazione dei
grossi vasi che si rende necessaria per poter raggiungere ed esplorare l’aspetto controlaterale
della vertebra, ed identificare la traversa del lato concavo della curva: tale atto è
fondamentale per valutare l’esatta posizione delle vertebre, sottoposte, in virtù della torsione
propria della scoliosi, ad una traslazione sul piano assiale diversa da una vertebra all’altra. Si
può così escludere la possibilità di penetrare nel canale vertebrale, e di ledere le strutture
neurologiche in esso contenute.
Il sacrificio dei vasi segmentari a più livelli è stato criticato da molti AA, i quali sostengono che si
può determinare in tal modo una significativa diminuzione dell’apporto ematico al midollo spinale,
con conseguente rischio di ischemia e quindi perdita della funzione midollare. Ciò è vero, come
dimostrano le esperienze di alcuni AA. cardiochirurghi, solo allorché l’interruzione della
vascolarizzazione avviene su entrambi i versanti del rachide. Nella nostra esperienza, suffragata da
quella ben più ampie di Zielke, Harms ed altri AA. che hanno fatto larghissimo uso dell’accesso
anteriore, l’accesso anteriore con legatura di tali vasi si è rivelato del tutto scevro da complicanze
ischemiche midollari.
Nella porzione toracica del rachide, lo scollamento della pleura parietale offre una visione completa
dei fasci vascolari trasversali, che possono essere agevolmente isolati e divisi.
A livello addominale questi decorrono in parte al di sotto del ventre muscolare del muscolo psoas,
per cui è necessario procedere alla sua disinserzione dal rachide. Questa si rivela agevole in
corrispondenza dei dischi intervertebrali, con cui il muscolo non contrae dei rapporti di continuità,
mentre offre una certa difficoltà in corrispondenza dei corpi vertebrali, ove la dissezione va
condotta con estrema prudenza, onde non lesionare i vasi stessi.
 
 
 
 
 
 
    
 
 
 
 Fig. 8 : Posizione dei grandi vasi rispetto alla colonna
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Una volta sezionati i vasi segmentari a tutti i livelli vertebrali da strumentare, è possibile isolare,
con la necessaria cautela, i grandi vasi dalla faccia anteriore della colonna vertebrale, fino ad
esplorare l’aspetto controlaterale dei corpi vertebrali fino alla apofisi traversa. Un divaricatore
malleabile, sagomato ad S, va utilizzato per proteggere i vasi durante le successive manovre di
strumentazione, introducendolo fra questi ed i corpi vertebrali.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
    
 
 
 
 
   Fig. 9 : La colonna esposta
 
                                                                    
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                                                                                  Ricostruzione
 
 
 
 
 
 
La ricostruzione dei piani deve essere ovviamente molto accurata. Si inizia ricostruendo la pleura
parietale cercando di ricoprire l’impianto, evitando così il contatto diretto con il polmone. La
ricostruzione procede con la reinserzione del diaframma, ed in questa fase risulteranno
estremamente utili i punti di repere posizionati durante la sua incisione.
La ricostruzione dei piani muscolari consentirà la chiusura del cavo addominale, lasciando in sito
un drenaggio retroperitoneale. La breccia toracotomica va richiusa lasciando in sede due drenaggi
toracici, uno più alto, posizionato vicino all’apice del cavo toracico, destinato alla espansione del
polmone ed alla evacuazione dell’aria dalla cavità pleurica, ed uno più basso, destinato a raccogliere
ed evacuare eventuali raccolte ematiche.
La sutura dei piani superficiali avviene come di norma.
I drenaggi toracici vengono rimossi in 3°-4° giornata, quando il controllo radiografico avrà mostrato
la completa espansione del polmone.
 
 
TECNICHE
 
 
PROGRAMMAZIONE DELL’INTERVENTO

Una corretta programmazione dell’intervento rappresenta la base per un risultato soddisfacente.
L’area da artrodesizzare deve essere identificata perfettamente, cercando di prevedere con
precisione il comportamento, non solo della curva principale su cui andiamo ad agire, ma
soprattutto quello delle curve adiacenti, e quindi la possibilità dei dischi di passaggio fra la curva
principale e le curve secondarie di recuperare la loro morfologia. Un intervento mal programmato
avrà per effetto di ottenere una colonna squilibrata, con curve di compenso che non si correggono
spontaneamente in misura sufficiente, spesso a livello inaccettabile: a questo punto di imporrà un
secondo intervento per via posteriore con cui andremo a riparare la situazione. A costo naturalmente
di un nuovo ed importante stress per il paziente. Ricordiamo che il maggiore vantaggio dell’accesso
anteriore è quello di correggere una deformità con migliori risultati rispetto alle tecniche classiche
per via posteriore, e con un solo atto chirurgico .
L’utilizzazione dell’accesso anteriore per ottenere una liberazione della colonna anteriore in
deformità particolarmente strutturate, in previsione di un secondo tempo di correzione ed artrodesi
posteriore, è naturalmente previsto, ma non rappresenta la vera filosofia delle metodiche che
intendiamo proporre in questo studio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   Fig. 10 : Rx Funzionali
 
 
  
 
 
        
           BENDING DESTRO                BENDING SINISTRO
 
Base dello studio di programmazione dell’intervento sono gli esami radiografici classici, in
ortostatismo, ed i bending test. Noi proponiamo una metodica semplicissima: osservare il lato di
chiusura dei dischi intervertebrali.
Tutti i dischi che presentano una chiusura sul lato concavo della curva principale sono da
artrodesizzare: sul bending test della curva primitiva si osserverà la loro correggibilità, che però
non è fondamentale, in quanto la resezione delle strutture discali renderà il disco molto più mobile.
    

 
 
 
 
 
    Fig. 11 :  Bending sinistro per lo studio di una curva lombare destra :  
  •         il disco L3L4 mostra una scarsa correggibilità e va quindi artrodesizzato;
  •         il disco L4L5 sicorregge adeguatamente e può essere risparmiato
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Se naturalmente la correggibilità è nulla, o si sospetti un grado di strutturazione degli archi
posteriori molto avanzata, che talvolta può giungere alla fusione spontanea, è opportuno studiare gli
archi posteriori con adatti tagli TC, con eventuale ricostruzione tridimensionale. La conferma di una
importante irriducibilità della curva può rappresentare la migliore ragione per non intraprendere un
atto anteriore, ed orientarsi per un intervento posteriore. Nella nostra esperienza, le maggiori
complicazioni (pseudoartrosi, rotture del materiale…) si osservano in curve corrette in misura
insufficiente.
I dischi critici sono quelli che formano il raccordo tra la curva principale e le curve di compenso:
se il disco di raccordo non è chiuso sul lato della convessità della curva primitiva, ma conserva la
sua morfologia, è sicuramente un disco sano che consente quindi un buon riequilibrio e compenso
della colonna sottoposta ad artrodesi. Se è chiuso sul lato della convessità della curva primitiva, ne
va studiata la correggibilità al bending test.
Al bending test si possono altresì evidenziare delle situazioni di instabilità che identificano i dischi
da artrodesizzare 
L’esame al bending test delle curve secondarie è altresì fondamentale. Ogni curva presenta un suo
grado di strutturazione che ci può consentire di prevedere il suo comportamento una volta realizzata
la correzione della curva primitiva. Una rigidità assoluta rappresenta una controindicazione
all’intervento per via anteriore: l’esito sarebbe quelli di una colonna fortemente scompensata. Una
rigidità relativa è accettabile: nella nostra esperienza le curve di compenso si correggono
spontaneamente almeno del 30 % se non il 50% rispetto al miglior risultato del bending test.
 
 
L’INTERVENTO DI ZIELKE (VENTRALE DEROTATIONSPONDILODESE)
 
 
 
L’intervento proposto da Dwyer venne perfezionato da Zielke, il quale, come abbiamo visto, ne
modificò sia i mezzi di sintesi, che lo strumentario ancillare, pur conservandone i principi. I
vantaggi che esso offre rispetto all’intervento di Dwyer sono tali, da considerare obsoleto
quest’ultimo, ed inaccettabile la sua adozione. Al contrario, l’intervento VDS conserva ancora oggi
la sua validità, ed è ancora giustificabile pienamente la sua utilizzazione, pur in presenza di
strumentari diversi offerti sul mercato da altri Autori ed altre Case Produttrici.
La via di accesso ci ha consentito di liberare ed esporre completamente il tratto di colonna
vertebrale che va strumentato; sottolineiamo di nuovo come sia necessario liberare
opportunamente anche il versante concavo della curva, sì poterlo, se non visualizzare, almeno
esplorare con un dito fino a palpare l’apofisi traversa controlaterale di ogni vertebra. Bisogna cioè
realizzare perfettamente la vertebra nella sua spazialità: questo è l’atto basilare che ci consente di
attribuire alla vite la sua giusta direzione e la corretta penetrazione, anche su di un rachide
deformato.
I passi dell’intervento sono i seguenti:
1. Resezione completa dei dischi del segmento da artrodesizzare, già identificati al bending
test. Questo atto inizia con la incisione e la resezione dell’anulus fibrosus con il bisturi: va
rimossa tutta la porzione anteriore ed il lato convesso del l’anulus. La porzione posteriore va
rispettata, per evidentemente proteggere da una invasione dal canale spinale, mentre la
porzione del lato concavo svolgerà una funzione di cerniera durante la manovra di
correzione. Si procede quindi con la completa exeresi del nucleo polposo, scoprendo i piatti
epifisari. Questi vanno asportati completamente, sì da scoprire l’osso spongioso
subcondrale. Ci si aiuterà con un sottile scalpello molto tagliente. La cruentazione dei piatti
epifisari, ottenibile con curette, con è sufficiente : il rischio di pseudoartrosi, nella artrodesi
interapofisaria, è la complicazione più temuta e più probabile. La resezione dei dischi,
condotta nella maniera radicale che abbiamo raccomandata, consente già di apprezzare una
notevole mobilizzazione della curva.
 
 
 
 
 
 
  
 
 
 
   Fig. 12:  Eseguita la discectomia
 
 
 
 
 
 
 
 
 
2. Infissione delle viti trasversali al corpo vertebrale. Questo atto è fondamentale. Dopo
aver valutato, con lo strumento apposito, lo spessore della vertebra, si sceglie la misura
della vite, tenendo presente che essa deve raggiungere ed impegnare la corticale
controlaterale. La direzione della vite deve essere esattamente al centro della vertebra, e
conviene quindi partire praticando, con un punteruolo, un foro sulla corticale subito davanti
alla apofisi traversa dal lato convesso. Con l’indice della mano sinistra si palpa la omologa
zona anteriore alla apofisi traversa sul lato concavo. Si inserisce quindi la vite,
direzionandola esattamente verso il polpastrello dell’indice della mano sinistra. Questa
tecnica consente di ottenere un posizionamento della vite esattamente ortogonale al corpo
vertebrale, evitando altresì di invadere il canale spinale, con le immaginabili conseguenze
sul suo contenuto. Nell’inserimento della vite, che procede nell’osso spongioso, quindi
senza bisogno di preparare il foro con un filettatore, si apprezza la resistenza offerta dal
tessuto spongioso, fino ad incontrare la corticale controlaterale, che va perforata, fino ad
avvertire, con il dito esploratore sul lato concavo, l’avvenuto attraversamento della corticale
da parte della punta della vite. Questo particolare di tecnica è fondamentale: le forze
correttive che metteremo in giuoco sono molto importanti, ed è mandatario affidarsi ad una
presa bicorticale.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 
   Fig. 13: Inserzione delle viti VDS
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
3. Inserimento della barra di compressione. La barra prevista da Klaus Zielke nel suo
strumentario originale è di 3 mm di diametro. Tale misura può sembrare esigua, se
raffrontata ad una barra di Harrington o del CD (circa & mm di diametro). In effetti, le
argomentazioni di Zielke a proposito sono convincenti, in quanto egli osserva che la barra è
sottoposta a sforzi di trazione, a cui notoriamente l’acciaio è particolarmente resistente. La
barra è fornita di un numero di dadi di uguali al numero delle viti più due: le
viti estreme vanno infatti strette fra due dadi. La sottigliezza della barra favorisce il suo
adattamento alla curva, consentendo di inserirla nella testa delle viti inserite nei corpi
vertebrali. Va osservato che i dadi posseggono uno scalino, che deve incastrarsi nella testa
della vite, che presenta all’uopo un alloggiamento, sì che, una volta messo in tensione, il
dado non possa più fuoriuscirne. I dadi vanno quindi posizionati sulla barra divisi in due
gruppi, quello craniale e quello caudale, in maniera da esercitare la loro azione di
compressione rispettivamente in senso caudale ed in senso craniale. L’inserimento dei dadi
va verificato vite per vite, e si ottiene con sicurezza bloccando la barra sul lato opposto della
vite con una apposita pinza portabarra (opportunamente filettata), e stringendo il dado con
una chiave meccanica ad apertura fissa, fino a sentire uno scatto che denuncia
l’alloggiamento perfetto del dado. Anche questo tempo è fondamentale. A questo punto si
osserva la barra fissata sulle teste delle viti, che disegna con la sua forma non solo la curva
sul piano frontale, ma anche la torsione delle vertebre. E’ interessante infatti notare come le
viti, se collocate correttamente, riproducano esattamente la torsione nello spazio nella curva.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   Fig. 14 : Posizionata la barra di Zielke, si noti come segue la curva e la rotazione vertebrale
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
4. Inserimento degli innesti ossei. Gli spazi intersomatici così preparati, vengono riempiti di
innesti ossei autoplastici. Questi possono essere ricavati dalla frammentazione della costa
rimossa per ottenere l’accesso al torace, oppure, ove non si sia proceduto alla sua resezione,
con innesti prelevati all’ala iliaca. Questa può essere raggiunta agevolmente per via
sottocutanea dalla stessa incisione lombotomica. V’è da osservare, oltre alla più corretta
tecnica di risparmiare una costola, la cui resezione lascia sempre una alterazione estetica del
profilo toracico, la migliore qualità dell’osso spongioso prelevabile dall’ala iliaca. Si
procede quindi a porre i dadi in una leggera compressione, appena sufficiente a stabilizzare
il montaggio: prima di iniziare la compressione vera e propria, infatti, si realizza il tempo
che è peculiare all’intervento di Zielke: la derotazione.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   Fig. 15 : Il dispositivo derotatore di Zielke
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
5. Derotazione. Dello strumentario di Zielke fa parte un accessorio piuttosto complesso,
 
 
 
rappresentato da una barra (di lunghezza regolabile) a cui si applicano distalmente due
morsetti, che vanno appoggiati a cavallo delle viti estreme, ed una vite senza fine centrale,
alla cui estremità è ricavato un gancio. Il gancio va ad ingaggiare il centro della barra di
compressione, si noti bene, non ancora in compressione. Sulla barra del derotatore si applica
una lunga leva, con cui si applica al montaggio così realizzato una azione di derotazione, di
circa 90°. E’ impressionante osservare l’efficacia di questo dispositivo, e come sia possibile
verificare “de visu” come la curva scoliotica si trasformi in una curva lordotica fisiologica.
6. Compressione. Determinata la derotazione, si procede alla compressione mediante
l’avvitamento dei dadi. Questo deve avvenire in senso progressivo, alternandosi
cranialmente e distalmente. L’avvenuta compressione finisce per bloccare in sede gli innesti,
ma soprattutto a fissare la correzione. La rimozione infatti del compasso derotatore non
provoca la recidiva della deformità: per dirla con Zielke, la colonna vertebrale corretta si
comporta come un manufatto di legno lamellare, in cui l’incollaggio dei vari strati di legno
determina la resistenza ed il mantenimento della forma.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
    
 
 
      Fig. 16 : Il meccanismo di derotazione : principio e realizzazione sul campo operatorio
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
STRUMENTAZIONE CON MATERIALE MOSS-MIAMI
 
L’utilizzazione dello strumentario messo a punto da Harms e Shufflebarger (MOSS MIAMI) non
modifica i principi ed i tempi dell’intervento: offre comunque alcuni indiscutibili vantaggi:
1. Il materiale di impianto è in titanio, compatibile cioè ad esplorazione con indagini MRI;
2. La barra offre maggiori garanzie di solidità. Nella nostra esperienza, comune a tutti gli
utilizzatori della metodica di Zielke, abbiamo osservato numerosi casi di rottura della barra
di compressione, spesso a più livelli. V’è da dire, come da noi studiato e riportato, come tale
evenienza occorra a distanza dall’intervento, e nella maggior parte dei casi sia asintomatica,
non associandosi quasi mai ad una pseudoartrosi. E’ probabile che la colonna artrodesizzata
presenti un modulo di elasticità diverso dal materiale metallico della osteosintesi, per cui la
barra, sottoposta a microsollecitazioni, finisce per obbedire alla legge sulla fatica dei metalli,
raggiungendo il punto di frattura. Pur essendo quindi tale evenienza trascurabile, ai fini del
risultato definitivo dell’intervento, offre comunque la possibilità di controversie medico
legali, o, quantomeno, motivi di insicurezza da parte del paziente. L’adozione della ben più
robusta barra di titanio (sei mm. di diametro contro i tre della barra di Zielke) sembra poter
evitare tali complicanze meccaniche.
3. Il montaggio della barra, la manovra di compressione e la derotazione sono rese più spedite
da una strumentazione ancillare più pratica.
I tempi della discectomia sono identici, e così la procedura di infissione delle viti. Queste, nella
versione MOSS MIAMI, possono avere la testa fissa o poli assiale: sono assolutamente da preferire
quelle a testa fissa, anche se la loro rigidità può rendere l’inserimento della barra meno agevole.
La barra va quindi presagomata seguendo la curva vertebrale, ed inserita nelle teste delle viti, che
vanno quindi chiuse con un sistema a doppi dado (interno ed esterno) senza però serrare
definitivamente.
La derotazione avviene afferrando la barra con una pinza autobloccante e facendola ruotare
all’interno delle teste delle viti, in senso orario. Spesso, tale manovra va realizzata a più riprese,
bloccando la posizione raggiunta con il blocco dei dadi sulle viti. La manovra è pratica identica a
quella che si utilizza con lo strumentario di Cotrel Dubousset (CD).
Completata la manovra di derotazione, si procede alla compressione definitiva. Anche questa si
effettua come nel CD: si fissa una pinza autobloccante sulla barra, distalmente alla testa della vite, e
si esercita la forza compressiva con una pinza diastasatrice fra la pinza e la testa della vite. Bloccate
definitivamente le viti serrando a fondo i dadi, la correzione è completata.
 
COMPLICANZE
 
E’ evidente che in una chirurgia così impegnativa le possibilità di complicanze sono molto vaste, e
ne troviamo ampia descrizione in letteratura. Com’è nello spirito di questo studio, di riferire cioè la
nostra personale esperienza, ci sembra corretto limitarsi alle complicanze osservate nella nostra
casistica: utilizziamo infatti tali tecniche da più di 25 anni per un totale di 152 pazienti affetti da
scoliosi idiopatica (vanno infatti considerati a parte i pazienti affetti da deformità congenite o
neuropatiche, nei quali la morbilità è sicuramente maggiore);
Complicazioni correlate alla toracotomia
Dei nostri pazienti, nessuno ha avuto necessità di mantenere il drenaggio toracico per più di tre
giorni. L’espansione dei polmone si è ottenuta senza complicanze in pochi giorni, con “restitutio ad
integrum”. Né abbiamo osservato casi di ipossia postoperatoria.
Complicazioni di natura gastroenterica
Modeste manifestazioni di ileo paralitico, dominato in pochi giorni con terapia medica adeguata e
sondino nasogastrico.
Un caso di ematoma retroperitoneale riassorbitosi spontaneamente in poche settimane.
Complicazioni correlate alla ferita chirurgica
Nessuna infezione profonda.
Sporadici casi di ritardo di cicatrizzazione della cute.
Complicazioni ematologiche
Frequenti casi di anemia postoperatoria, trattata con emotrasfusione omologa (da osservare che
nella quasi totalità dei pazienti, almeno negli ultimi dieci anni, i pazienti hanno assunto quasi
esclusivamente sangue autologo predepositato).
Complicazioni correlate alla strumentazione
Un caso, operato con strumentazione Moss Miami, presentava ad un mese dall’intervento un
cedimento dello strumentario per svitamento dei dadi sulla vite più caudale, con parziale recidiva
della deformità. In tale paziente è stato necessario reintervenire per ripristinare l’impianto; nella
stessa seduta la p. ha avuto un tempo posteriore di strumentazione ed artrodesi posteriore a tale
segmento.
Numerosi casi di rottura – a molti mesi, se non anni di distanza dall’intervento- di rottura della barra
di Zielke.
Complicazioni correlate alla fusione vertebrale
Solo in tre casi abbiamo accertato (due Dwyer, un VDS) uno o più livelli di pseudoartrosi dolorosa.
Tali p. sono stati sottoposti ad un intervento di artrodesi e strumentazione posteriore.
Complicazioni di natura neurologica
Nessun caso, se non modeste parestesie transitorie.
Da notare il frequente interessamento dell’asse simpatico dell’arto inferiore omolaterale alla
lombotomia, con edema dell’arto e parestesie. Si noti che il tronco del simpatico decorre lungo il
muscolo ileopsoas, e che sia praticamente impossibile evitare di lederne alcune fibre. Tali disturbi,
di natura benigna, tendono a scomparire entro un anno.
Complicazioni di natura genito-urinaria
Sporadici casi di sepsi delle vie urinarie, secondari all’uso del catetere nel periodo perioperatorio.
Dominate agevolmente nella totalità dei casi con terapia medica.
Dolore postoperatorio
Paradossalmente, i pazienti che hanno subito una toracofrenolombotomia presentano un decorso
postoperatorio molto più sereno dei pazienti operati per via posteriore. Nella maggior parte dei casi,
lamentano dolore in corrispondenza della ferita chirurgica, ed alla respirazione profonda. Ma ben
presto la sintomatologia si rende del tutto sopportabile.
In conclusione, le complicanze sembrano essere particolarmente modeste, se rapportate all’entità
dell’atto chirurgico. In realtà, ci sembra evidente come la filosofia dell’intervento sia in definitiva
più fisiologica che non l’accesso posteriore. Gli atti cruenti della toracofrenolombotomia sono
rappresentati da:
• l’apertura del torace con collasso del polmone, che ritorna prontamente a parete con l’ausilio
del drenaggi,
• la disinserzione del diaframma, che, condotta correttamente e soprattutto adeguatamente
riparata, non comporta alcuna menomazione del muscolo,
• l’apertura della braccia lombotomica, che in realtà, rispettando l’anatomia della muscolatura
addominale, interessa più le fasce, che non il tessuto muscolare vero e proprio.
Lo scollamento del retroperitoneo avviene per via smussa, e la legatura stessa dei vasi segmentari,
essendo questi bilaterali, non altera in alcun modo la vascolarizzazione delle strutture neurologiche,
cui essi sono destinati.
Al contrario, l’accesso posteriore, richiedendo una vasta e completa scheletrizzazione dei muscoli
paravertebrali, è un atto veramente cruento che ne altera sicuramente la funzione, o quantomeno la
innervazione, determinando reazioni dolorose che rendono il postoperatorio molto sofferto.
 
RISULTATI

Una valutazione sulla efficacia dell’intervento, va compiuta evidentemente in riferimento alla sua
rispondenza a quelle che sono le aspettative del chirurgo e del paziente, utilizzando vari criteri:
1. Entità della correzione della deformità, sia sul piano coronale, che assiale (rotazione) ;
2. Funzionalità postoperatoria del rachide;
3. Equilibrio complessivo del rachide;
4. Rispetto dell’assetto sagittale complessivo del rachide;
5. Qualità della fusione vertebrale;
6. Decorso postoperatorio;
7. Frequenza ed entità delle complicanze.
Da sottolineare comunque come il risultato dell’intervento non possa prescindere dalla correttezza
della indicazione e da una scrupolosa selezione dei pazienti. I peggiori risultati che si possono avere
sono determinati da un errore di indicazione: e di ciò non è colpevole la tecnica, ma il chirurgo !
Entità della correzione della deformità
E’ l’aspetto più entusiasmante delle metodiche: non è raro osservare una correzione completa della
curva; in alcuni casi si può addirittura rischiare l’ipercorrezione. In ogni caso l’efficacia è superiore
a qualsiasi tecnica di correzione per via posteriore. A nostro parere, tale aspetto positivo è collegato
al grande grado di mobilizzazione della curva che si riesce a determinare mediante la discectomia:
ciò confermerebbe che la deformità è sostenuta, nella maggior parte dei casi, dalle alterazioni
discali. Ciò è valido nella misura in cui si consideri che abbiamo escluso a priori dall’intervento i
pazienti che presentavano al bending test una rigidità imputabile ad alterazioni strutturali
importanti degli archi posteriori.
 
Funzionalità postoperatoria del rachide
 
Uno dei vantaggi principali dell’accesso anteriore è che si può limitare l’artrodesi, rispetto alle
tecniche posteriori, risparmiando uno e talvolta due dischi più caudali. E’ evidente il riflesso
positivo sulla mobilità postoperatoria del rachide lombare, in cui anche il sacrificio di un segmento
può comportare una limitazione importante. Riportiamo a tale proposito uno schema proposto da
Michel nel 1971, il quale aveva studiato la mobilità residua del rachide, in rapporto al limite
inferiore della artrodesi.
 
LIMITE INFERIORE DELLA ARTRODESI L1 L2 L3 L4
AMPIEZZA TOTALE DELLA MOBILITA’ FRONTALE
45° 45° 34° 20°
INCLINAZIONE LATERALE MASSIMA CON APERTURA
DELL’ANGOLO ILEOLOMBARE
108° 103° 95° 75°
INCLINAZIONE LATERALE MASSIMA CON CHIUSURA
DELL’ANGOLO ILEOLOMBARE
63° 58° 61° 55°
 
Equilibrio complessivo del rachide
 
L’atto chirurgico condotto per via anteriore, sempre nel massimo rispetto delle indicazioni, sembra
essere meglio tollerato dal rachide: non è raro osservare dei casi in cui, con una artrodesi limitata a
quattro segmenti, si ottenga una correzione totale ed un riequilibrio completo del rachide. Le stesse
curve secondarie adiacenti alla curva primitiva tendono ad una autocorrezione ben superiore a
quanto farebbero sperare i dati del bending test. Ciò al contrario di quanto si verifica negli interventi
condotti per via posteriore, ove l’errore più frequente è quello di sottostimare le curve secondarie,
con il risultato di squilibri complessivi del rachide, che talvolta richiedono un ulteriore atto
chirurgico di prolungamento della artrodesi. La spiegazione di tale differente comportamento del
rachide va ricercata,a nostro parere, nella fisiologicità dell’intervento, e soprattutto nel fatto di aver
rispettato il complesso muscolare e legamentoso posteriore. Ciò vale anche per le osservazioni che
faremo sul comportamento del rachide sul piano sagittale.
Rispetto dell’assetto sagittale complessivo del rachide
Al primo apparire della metodica di Dwyer, l’obiezione più comune riguardava lo sconvolgimento
che tale atto avrebbe prodotto sull’assetto sagittale del rachide lombare: la resezione dei dischi e la
compressione sulla colonna anteriore erano i fattori che avrebbero dovuto condurre ad una
cifotizzazione non fisiologica del rachide lombare, con scompenso dell’assetto complessivo della
colonna. Ciò non si verifica per diversi ordini di ragioni:
1. Le viti correttamente vanno posizionate il più posteriormente possibile, in vicinanza cioè del
bordo posteriore del corpo vertebrale, dove si identifica il centro di rotazione istantaneo del
segmento di mobilità vertebrale. La compressione non si esercita quindi anteriormente, e
non si determina alcun effetto cifotizzante;
2. La correzione non è determinata dalla compressione, bensì dalla derotazione, per effetto
della quale la curva scoliotica viene a trasformarsi in una lordosi pressoché fisiologica.
Un’ altra osservazione interessante riguarda il comportamento complessivo del rachide sul piano
sagittale nel periodo postoperatorio. L’esperienza comune di chirurgia posteriore, orienta ad evitare
di eseguire delle artrodesi troppo corte nel tratto toracolombare, per evitare che il limite craniale
della artrodesi venga a posizionarsi nella zona apicale della cifosi toracica: è infatti una
conseguenza pressoché costante di tale evenienza, assistere all’aggravarsi progressivo di una cifosi
al di sopra della area artrodesizzata. Ciò non si verifica nelle scoliosi operate per via anteriore in cui
quasi costantemente il limite superiore della artrodesi si colloca nella zona apicale della cifosi
toracica. Nella nostra esperienza, non abbiamo mai osservato una tendenza alla cifotizzazione del
tratto toracico sovrastante l’artrodesi.
La spiegazione di tale comportamento non è chiara, ma è nostro convincimento che il rispetto
dell’apparato muscolo-legamentoso posteriore del tronco sia fondamentale per la conservazione
dell’assetto sagittale del rachide.
Qualità della fusione vertebrale
 
Altro aspetto controverso riguarda il tasso di pseudoartrosi, che nelle prime esperienze con
l’intervento di Dwyer si dimostrò piuttosto alto. In seguito, tale complicanza si dimostrò molto più
rara, una volta messa a punto la tecnica di artrodesi e soprattutto potendo disporre di strumentazioni
più rigide, quali il VDS ed il MOSS MIAMI. Mentre lo stesso Zielke affermava di non aver visto
alcun caso di pseudoartrosi, nella nostra esperienza il tasso di pseudoartrosi è veramente molto
basso: due casi operati con il materiale di Dwyer, un altro caso in cui avevamo eseguito una
strumentazione VDS utilizzando una barra di acciaio non originale. Altri casi mostravano un ritardo
di consolidazione, con voluminose produzioni osteofitosiche, che però, ad una nostra ricerca a
distanza di almeno cinque anni, con indagine stratigrafica, dimostrarono una fusione adeguatamente
solida. Va sottolineata la estrema precisione che è richiesta nella preparazione dei piatti epifisari
negli spazi intersomatici, e l’utilizzo di innesti autoplastici preferibilmente iliaci.
 
Decorso postoperatorio
 
Abbiamo già citato la benignità del decorso postoperatorio, che risulta inaspettatamente ben
tollerato, se rapportato all’importanza dell’atto chirurgico.
Frequenza ed entità delle complicanze
La nostra esperienza, confortata da quella di altri AA, quali Zielke, Harms, Hall, Picault, etc.
conduce a ritenere il tasso di complicanze assolutamente accettabile, ed addirittura inferiore a quelle
osservate nei pazienti operati per via posteriore.
 
CONCLUSIONI

In questo studio, ci è premuto riportare la nostra esperienza di oltre venti anni di utilizzazione delle
metodiche di correzione delle scoliosi idiopatiche per via anteriore. La casistica è necessariamente
limitata, per l’estrema selettività dei pazienti sottoposti a tale chirurgia. Ma, nel rispetto di tali
indicazioni, ci sentiamo di poter affermare che l’utilizzazione dell’accesso anteriore, della artrodesi
intersomatica, e della correzione con materiale moderno (quale il MOSS MIAMI) offre alcuni
indiscutibili vantaggi rispetto alla chirurgia più tradizionale per via posteriore:
1. Correzioni più importanti;
2. Artrodesi più corte;
3. Una maggiore “fisiologicità” dell’intervento, che si riflette sul riequilibrio spontaneo del
rachide sui tre piani dello spazio;
4. Una sostanziale benignità del decorso postoperatorio e del follow-up.
Va comunque segnalata la necessità di estrema precisione nell’esecuzione dei vari tempi chirurgici,
e la possibilità di poter gestire il paziente in qualsiasi evenienza. Le complicanze possibili, pur
essendo rare, possono essere catastrofiche e di non facile controllo. E’ raccomandato di poter
disporre di un’equipe di cui facciano parte rianimatori, chirurgi toracici e vascolari, non ultimo, per
tutelarsi sul piano medico-legale.
 
 
CASI ILLUSTRATIVI
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
     T.A. :  Paziente di sesso femminile di 24 anni, operata di VDS : correzione totale    delle curve.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
V.C. : Paziente di sesso femminile di 34 anni: al controllo postoperatorio modesto grado di ipercorrezione; si noti come si sono modificati i rapporti L4 - L5 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 M.A. : Paziente di sesso Femminile di 38 anni, : con l'artrodesi di soli 4 spazi somatici si  è ottenuto un riequilibrio completo del rachide.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
P.S. : Paziente di sesso femminile di 25 a. : si noti il riallineamento spontaneo di L4 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 C.P. : Paziente di sesso femminile di 34 a. : si noti, oltre alla correzione totale, il rispetto della lordosi fisiologica.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
J.P. : Paziente di sesso Femminile di 35 anni, operata con tecnica MOSS MIAMI : si noti la correzione della curva toracica (50 %) ed il rispetto delle curve sagittali. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
BIBLIOGRAFIA

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